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Storie e segreti dei Venulei





Storie e segreti dei Venulei
Patroni della Colonia Alfea
di Algido Tricolonio


        La famiglia etrusca Venuleia, originaria di Pisa Alfea, entrò a far parte della nobiltà romana nel secolo I a.C. Guido Migliorati in "Iscrizioni per la ricostruzione storica dell’impero romano: da Marco Aurelio a Comodo" (Milano, 2011), così la ricorda: "(..) provenienti dunque dall’Etruria i Venulei facevano già parte forse dal I secolo a.C. dell’elite romana: infatti una Venuleia divenne moglie di Publio Licinio Crasso, console nel 97 a.C. e padre del futuro triumviro [Marco Licinio Crasso, sposato con Cecilia Metella, che nel 71 a.C. aveva soffocato la rivolta degli schiavi capeggiata da Spartaco e nel 60 a.C. aveva costituito il primo triumvirato con Cesare e Pompeo]. Una discendente di quest’ultimo, Sergia Paulla, verso la fine del II secolo andò in sposa a Quintus Anicius Faustus, della famiglia Anici (..)". Ancor più interessante però è che i Venulei furono praetor Etruriae per ben cinque volte: si trattava del sommo magistrato federale che presiedeva la confederazione dei popoli etruschi, una lega politico-religiosa che esisteva in epoca arcaica (pre-romana) e che ancora sopravviveva in epoca romana imperiale. Questo incarico tipicamente etrusco era di straordinario valore e lascia intendere quanto fosse estesa l'influenza dei Venulei sull'intera area centrale dell'Italia. I più illustri rappresentanti della famiglia (attualmente conosciuti dagli archeologi, come Alister Filippini della Università di Palermo) erano:
- Lucius Venuleius Montanus fu console suffetto (sostituto) nel 92 d.C. (sotto l'imperatore Domiziano) e frater Arvalis e magister ereditario di questo collegio sacerdotale nell'80 (sotto Tito); costruì l'acquedotto di Caldaccoli e le Terme di Pisa;
- Lucius Venuleius Montanus Apronianus Octavius Priscus, probabilmente figlio del precedente, fu triumviro monetale (cioè supervisore della zecca dello Stato), seviro (comandante) degli squadroni dei giovani cavalieri, prefetto di Roma durante le ferie Latine (questi primi incarichi spettavano ai giovani senatori e introducevano alla carriera vera e propria), poi questore (prescelto specificamente dall'imperatore Traiano), pretore, legato della legione I Italica nella provincia di Mesia Inferiore (attuale Dobrugia tra Romania e Bulgaria) quindi console ordinario nel 123 (sotto Adriano) e infine proconsole della provincia Asia nel 138/139 (sotto Antonino Pio). Come sacerdozi ebbe quelli di Salio Collino (riservato ai giovani patrizi) e di augure (uno dei quattro collegi sacerdotali più importanti insieme a quello Arvale).
- Il figlio omonimo, Lucius Venuleius Montanus Apronianus Octavius Priscus, fu anch'egli triumviro monetale, prefetto di Roma alle ferie Latine e augure (ma non fu Salio Collino come il padre), quindi questore, pretore e legato della legione I Italica (proprio come il padre) sotto Antonino Pio, poi console suffetto (forse nell'anno 145), legato imperiale (ossia governatore) della provincia di Spagna Citeriore (ancora sotto Antonino Pio), quindi console per la seconda volta (questa volta ordinario) nel 168. Inoltre fu membro di due confraternite sacerdotali votate al culto degli imperatori divinizzati: sodalis Hadrianalis (per il divino Adriano) e sodalis Antoninianus Verianus (per i divini Antonino Pio e Lucio Vero).
I Venulei giunsero a grande ricchezza e potenza nell'età imperiale: infatti molti di essi nei primi tre secoli dell'era volgare rivestirono le più alte cariche della carriera senatoria e i più importanti incarichi sacerdotali pagani. Una iscrizione di Nicea (Turchia), di recente pubblicata da un archeologo turco, mostra un Venulei come patrono dei Nemesiasti di Nicea, l'associazione cultuale consacrata alla dea Nemesi ed al culto del femminino sacro (ritrovato anche a Massaciuccoli* con il culto della Bona Dea, l'Iside etrusca), che diverrà nel sincretismo cristiano il culto di Maria. Nel V secolo la linea maschile si spense ma è lecito immaginare che il nome fu continuato per via femminile per mezzo di alleanze di sangue con famiglie normanne come i Pagano da Vecchiano, discendenti di una delle famiglie fondatrici dell’autoproclamato "Stato dei Mari" nel 1006. Vecchiano significherebbe infatti "terra Venuleia".

        Le ricerche condotte nei secoli passati da illustri studiosi, che si dedicarono all’analisi della discendenza Alfea, cioè di famiglie nobili ebraiche come la dinastia sacerdotale Edomita, detta dei Vermigli o dei Mi Beth El (la traduzione letterale è "dalla Casa del Signore"), attestati storicamente a Pisa (in via Cavalca) dal 1007 richiamando così la famosa compagnia di armatori pisana detta "dei Vermigli", che partecipò alla prima crociata e conquistò Tiro ed Acri. Secondo la Jewish Enciclopedia (1906), forse da identificare nei discendenti di Giacomo d'Alfeo, conosciuto come Giacomo il Giusto nei Vangeli. I professori Raphael Patai (1910-1996) e Robert von Ranke Graves (1895-1985) sostennero nella loro pubblicazione “Hebrew Myths” (pubblicato postumo da Doubleday & Co nel 1964) che gli Alfei, ovvero i discendenti di Giacomo di Alfeo (da cui Alfei) fossero di origine Edomita, osservando la somiglianza dell'onomastica edomita dei capi (alufim) della tribù di Giuda.

        Il più antico "pastore Alfeo" fu Andrea da Barberino** (1370-1432) che scrive in "La gesta de' Reali di Brettagna: dopo la morte del re Artù", una narrazione con citazione di presunte fonti storiche della favolosa storia della stirpe reale francese di Fiovo, figlio di Costantino imperatore, sino a Carlo Magno. L'opera viene considerata dagli studiosi una specie d'introduzione generale ai successivi cicli carolingi. "(...) fu Alfea molto utile allo stato di Gostantino, ed era camera e ricetto della gente di Gostantino e dello imperio di Roma; e però fu sempre chiamata negli ordini imperiali camera d'imperio e pesatore delle ricchezze di Roma. Però perdé il nome d'Alfea e fu chiamata Peso, cioè pesatore delle ricchezze e omaggi imperiali di Roma; e dal nome di Peso è venuto ch'ella ène chiamata Pisa; ma il suo proprio nome è Alfea o Peso". Antonio Cocchi (1695-1758) nel trattato "dei Bagni di Pisa" (1750) attribuisce una colonna, ancora oggi conservata nel giardino dei Bagni di Pisa a San Giuliano e dedicata "ad antiche deità, una delle quali con velo simile all'isiaco (N.d.r. di Iside), un'altra con pileo frigio (N.d.r. copricapo con la punta alta e ripiegata in avanti)" a Corinna Metella Aproniani, moglie di Lucius Venuleius Montanus, frater Arvalis e magister di questo collegio sacerdotale, che costruì l'acquedotto di Caldaccoli e le Terme di Pisa. Alcuni autori di inizio novecento li immaginano convertiti al giudeo cristianesimo e sostenitori successivamente della cosiddetta "chiesa di San Paolo" (aperta ai pagani); legati da vincoli di sangue con la gens Anicia, combatterono in Senato la nobiltà ligia alla tradizione pagana: ebbero dall'imperatore le più alte cariche tra cui un governatore della Britannia (che fortifica il Vallo di Adriano nel 112-130 d.C..), un proconsole a Costantinopoli, un comandante della Prima Legione "Italica" in Moesia, che fu impegnata anche in Oriente a sedare l'ultima rivolta Giudea a Nablus nel 135 d.C. detta di Bar Kokhba.
Il noto archivista (e archeologo) pisano Clemente Lupi (1840-1919) attribuiva infatti anche la costruzione delle Terme a Lucius Venuleius Montanus, duoviro della colonia Alfea (Pisa), che aveva già in precedenza costruito l'acquedotto di Caldaccoli. L'area delle Terme corrisponde inoltre alla contestualizzazione del romanzo "dopo Gesu'" (Firenze,1910 e 1919) di Giovanni Rosadi (1862-1925) giurista, storico, scrittore lucchese e sottosegretario nel governo Nitti II (1920) con la specifica funzione per le Antichità e belle arti. Il Rosadi ricostruisce una immagine (romanzata) di questa importante famiglia etrusca-romana con interessi dalla Spagna alla Caledonia ed in tutto il bacino del mediterraneo, narrando le vicende della propaganda cristiano-giudea dalla morte di Gesù all'impero di Nerone e i fatti della storia politica ad esse più strettamente collegati. Secondo la tradizione Cristiana San Torpe' verrà giustiziato a Pisa nel 68 d.C., San Lino nel 67 d.C. sarà il successore di San Pietro ed è ufficialmente riconosciuto il secondo Papa della chiesa di Roma. San Torpe' pisano, Gaius Silvius Torpetius, e un altro santo pisano (volterrano) Lino, Fabius Quintilius, entrambi riconosciuti ufficialmente dalla chiesa Cristiana come stretti collaboratori di San Pietro dopo il suo arrivo "ad gradum Arni" (San Piero a Grado) nel 44 d.C. sono legati agli avvenimenti politici dopo il noto incendio di Roma del 64 d.C. che fu l'occasione per screditare gli Ebioniti (fedeli cristiani di stretto orientamento giudaizzante, vicini alla cosiddetta "chiesa di San Pietro"), condannandoli e screditandoli agli occhi del potere costituito e "(...) si trattò, probabilmente, del primo successo politico messo a segno nella società romana dalla cosiddetta "chiesa di San Paolo" aperta ai pagani (...)" [vedi C. Rendina, I Papi. Storia e segreti]. Quello del Rosadi è un racconto romanzato ma questo non lo rende meno interessante, suggestivo ed intrigante per una conoscenza della famiglia pisana dei Venulei, duoviri della colonia Alfea, e del giudeo-cristianesimo, ovvero delle prime comunità cristiane.

        I Venuleii furono dunque adepti del culto giudeo-cristiano oppure ebbero un ruolo di rilievo per l'affermarsi della cosiddetta "chiesa di San Paolo", aperta anche ai pagani? Non si può escludere a priori, ma neppure comprovare: le loro carriere mostrano incarichi sacerdotali tradizionali, marcatamente pagani, che sarebbero stati teoricamente incompatibli sia con la religione cristiana sia nella forma giudeo-cristiana della chiesa detta di "San Pietro" (che manteneva l'osservanza della Torah) sia nella forma entico-cristiana, della chiesa detta di "San Paolo" (aperta anche ai pagani), quanto, a maggior ragione, con la religione ebraica. I Venuleii vissero comunque in un'epoca in cui le famiglie senatorie romane nutrivano interesse per i culti orientali, tra cui l'ebraismo e il cristianesimo e sono attestati casi di senatori "convertiti" alla fede ebraica e cristiana, tanto nell'epoca dei Flavi (per entrambe le fedi) quanto in quella di Adriano e degli Antonini (solo per la fede cristiana). Ricordiamo infine che una delle più famose ed antiche gens romane, convertite al cristianesimo, fu quella degli Anici della dinastia imperiale Giulia Claudia Antonia, di cui sia i Gaetani di Pisa che i Pagano di Vecchiano (discendenti probabili dei Venulei) ne ricordavano la discendenza con un "cane rampante" nel loro stemma familiare.
Più recentemente sono stati studiati da Giulio Ciampoltrini dell'Università di Pisa (Gli ozii dei Venulei) e da Mario Torelli dell'Università di Perugia (Les Pompeii de Bolsena et les Venuleii de Pisa); quest'ultimo afferma che Calipurnia, moglie di Plinio il Giovane (61-114), era figlia di Pompeia Celerina dei Pompeii, sposata con un Venulei.

        Fino al 1953 esisteva a Roma una "via dei Venulei" in Pago Triopio, al III miglio della Appia antica, nei pressi della villa di Erode Attico e del circo Massenzio. Sant'Urbano in Pago Triopio fu costruito su un precedente tempio dedicato a Cerere ed al culto della dea Nemesi. La costruzione del tempio e' attribuita a Erodo Attico, figlio di Vibullia Alcia Agrippina e di Tiberio Claudio Attico, un banchiere ateniese che discendeva da una delle più antiche e nobili famiglie dell'Epiro, gli Eacidi, e che vantava fra i suoi antenati addirittura il famoso Achille. Erodo Attico fu mistagogo (ovvero "guida dei misti"), appartenente ad una famiglia sacerdotale pagana dedita al culto dei misteri eleusini, che ebbero larga diffusione a Roma e perfino Cicerone, gli imperatori Adriano, Marco Aurelio, Gallieno e Giuliano vi presero parte. All'interno della cripta di Sant'Urbano in Pago Triopio esiste un affresco che rappresenterebbe una Nativita' con Giacomo di Alfeo, detto il Giusto. Giacomo il Giusto e' stato un personaggio molto importante per le prime comunità cristiane; lo si capisce da numerosi testi del primo secolo. Papia di Ierapoli chiama Giacomo vescovo di Gerusalemme. Nel vangelo di Tommaso (uno degli apocrifi più antichi) Gesù lo nomina capo della Chiesa. Gli storici della Chiesa, a partire da Egesippo, lo immaginano giudeo-cristiano, onorato e stimato da tutti, tanto che il sommo sacerdote che ordina di lapidarlo (o di gettarlo dal tetto del tempio) cade in disgrazia anche presso gli ebrei. Giacomo d'Alfeo muore nel 62 d.C., poco dopo (70 d.C.) Gerusalemme ed il Tempio vengono devastati dalle legioni romane di Tito: della comunità giudeo-cristiana di Giacomo d'Alfeo, cugino di Gesù, si perdono le tracce. Secondo alcuni storici, la Chiesa che sopravvive sarà solo quella degiudaizzata di Paolo e Pietro, che possiamo ricollegare agli studi sulle leggende pisane di San Torpe' e San Lino.

* Nell’area archeologica di Massaciuccoli Romana, nel comune di Massarosa, si trovano i resti della villa della famiglia dei Venulei, costruita agli inizi del I secolo d.C., di cui si conserva il monumentale complesso termale, e un secondo edificio di età romana, scoperto negli anni Trenta che oggi fa parte del padiglione espositivo “Guglielmo Lera”.

** Andrea di Jacopo da Barberino, al secolo Andrea Mengabotti o Andrea de’ Mengabotti (Barberino Val d’Elsa, 1370 circa - 1432 circa), è stato uno scrittore toscano.
Fu traduttore delle canzoni di gesta francesi (romanzi cavallereschi il cui testo tradotto recitava probabilmente egli stesso nelle piazze come canterino comunale, o giullare) e scrisse il Guerrin Meschino, I Reali di Francia e altre storie.


Bibliografia

    Per la bibliografia vedi i riferimenti nella nota.