Gli specchi di Bonturo e la mazza di Grandonio
Gli specchi di Bonturo e la mazza di Grandonio
di Renato Mariani Pisano
(Alcune date citate in questa nota potrebbero risultare errate di un anno perché non tutti gli autori indicano lo stile Pisano o lo stile comune. Questo genera probabili errori.)
Nei quattro secoli di storia della Repubblica Pisana sono raccontati alcuni episodi che rasentano la leggenda. La loro veridicità o falsità non sono state sempre dimostrate; è interessante comunque ricordarli.
Nel maggio 1168 i lucchesi si impossessarono del castello (N.d.R borgo) di Asciano che esisteva già prima del Mille a difesa di Pisa e che cambiò di proprietà tra Pisani e lucchesi a seguito di violenti scontri negli anni 1226, 1267, 1275, 1287. Nel settembre 1313 i Pisani, capitanati da Banduccio Buonoconti, cercarono la pace con gli Anziani di S. Zita durante il Convegno di Quosa (1). Gli ambasciatori pisani si dichiararono pronti a restituire i luoghi prima posseduti dai lucchesi in cambio dei castelli di Asciano, Avane e Buti; Bonturo Dati (2), uno degli ambasciatori di Lucca disse di essere disposto a rendere Buti ed Avane, ma non Asciano e giustificò il rifiuto ricordando che, come scrive Raffaello Roncioni: “Avevano i Lucchesi tenuto questo luogo anni venticinque; e quando se ne impadronirono, per far cosa obbrobriosa e di gran vituperio ai Pisani, instigati dai Genovesi e dai Fiorentini e da altri popoli loro nemici (il che conferma Giovanni Villani essere stata cosa verissima) e messo nelle più alte torri di quel castello dimolti specchi grandi, e sotto di loro scritto con gran parole: Specchiatevi qui dentro, o voi, donne pisane.” Banduccio Buonconti rispose: “Poiché la città vostra non vuol pace colla nostra, la quale per la condizione dei tempi averebbela più lei che noi a desiderare; ecco che diamo a quella la guerra. Però, voi che la rappresentate come suo imbasciatore, ritornandovi, fate al senato e popolo lucchese questa nostra proposta: che i Pisani fra giorni otto usciranno fuora con l'esercito loro, e per via dell'armi generosamente termineranno la contesa d'Asciano; e sotto alle mura (3) di Lucca daranno a conoscere a quella città quali specchi adoperino le donne pisane. Però voi, che non avete voluto che ci sia reso quello che legittimamente fu ed è nostro, gli notificherete questa nostra intenzione e disfida, acciocché i Lucchesi si possino provedere.”
L’episodio è ricordato da alcuni storici (Raffaello Roncioni, Jacopo Arrrosti, Ranieri Sardo, Albertino Mussato, Bartolomeo Beverini, Antonio Mazzarosa, L.A. Muratori, Giovanni Villani e altri) ma chi lo ha reso famoso è stato Giosuè Carducci nella ballata “Faida di Comune”:
[...] “Ma d’Asciano invan pensate:
Quando a voi lo conquistammo,
Su le torri del castello
Quattro specchi ci murammo,
A ciò che le vostre donne,
Quando uscite a dameggiare,
Negli specchi dei lucchesi
Le si possan vagheggiare.
E qui surse tra i lucchesi
Uno sconcio suon di risa.
A i pugnali sotto i panni
Miser mano quei di Pisa.” [...]
Scrive l’Arrosti: “[...] e partendosi da loro tornorno a Pisa. Ugoccione e gl’anziani essendo insieme domandorno agl’ambasciadori come havevano fatto; rispose Banduccio noi siamo stati scherniti, e li contò la risposta di Bonturo Dati data a loro, et Uguccione se ne fece con gl’anziani maraviglia grande dicendo, ben son’hora li lucchesi montati in gran superbia, questo lo fanno per la forza delli Toscani. All’hora disse il detto Banduccio: O Uguccione metti in punto la masnada (N.d.R. Schiera di uomini armati), manda il bando che il popolo, e i cavalieri siano fuori della Porta al Parlascio, ... Rispose Uguccione la masnada vorrà danari, e Banduccio rispose per questo non si manchi, et io presterò mille fiorini, e molti altri cittadini si profersero di loro volontà, [...]” Uguccione radunò 400 cavalieri e 10000 fanti e nel mese di settembre assalì il castello di Asciano, fece molti prigionieri, entrò nel contado di Lucca, saccheggiò la villa di Santa Maria del Giudice, incendiò Massa Pisana e tolse ai Lucchesi i due castelli che possedevano nella valle di Buti. Per alcuni giorni continuò il saccheggio della campagna circostante e in ottobre rientrò a Pisa.
Uguccione, desideroso di gloria, si mosse il diciassette di novembre e occupò Compito, Vorno e Massa Pisana; dopo aver incendiato Guamo si scontrò con Pagano Quartigiani, capitano dei lucchesi, che si salvò con la fuga. Non soddisfatti della vittoria i Pisani distrussero la villa di Gattaiola, e si accamparono a Pontetetto. I Lucchesi e i loro alleati della Toscana, accorsero per contrastare i Pisani e bloccarli prima che superassero il ponte sull’Ozeri. Molti cavalieri pisani e mercenari tedeschi, ciascuno dei quali aveva un soldato in groppa guadarono il fiume e assalirono con tale furia i nemici che dovettero ritirarsi fin dentro le mura di Lucca il diciotto novembre, giorno dedicato a S. Frediano. Di fronte alle mura i Pisani interrarono due antenne che innalzavano due grandi specchi su cui sembra fosse scritto qualcosa di simile: “Bonturo Dati, ecco gli specchi delle donne Pisane che altri a te ne mandano”. Subito dopo iniziò un bombardamento della città con dardi incendiari e grosse frecce da balestra. Tigrino della Sassetta, un personaggio leggendario al seguito di Uguccione della Faggiola, sarebbe stato l’autore della frase “Ora specchia, Bonturo Dati che i lucchesi hai consigliati”, scritta dallo stesso sulla porta delle mura con il sangue di un lucchese ucciso.
E lo scrive anche il Carducci:
[...] I Pisani oltre le mura
Gittan faci e verrettoni.
Togli su, pantera druda,
Togli su questi bocconi.
Tali specchi, o Lucca bella,
Pisa manda a le tue donne.
E rizzaron su la porta
Due lunghissime colonne;
E due specchi in vetta in vetta,
Grandi e grossi come bótti,
V’appiccarono: ed intorno
Menan balli e dicon motti.
Ma Tigrin de la Sassetta (4),
Faccia ed anima cattiva,
Trasse a corsa pe’ capelli
Un lucchese che fuggiva,
E la spada per le reni
Una volta e due gli fisse;
Tinse il dito entro quel sangue,
Su la porta così scrisse:
“Manda a te, Bonturo Dati,
Che i lucchesi hai consigliati,
Da la porta a San Friano (N.d.R. porticciola di San Frediano)
Questo saluto il popolo Pisano.”
Una versione di altri autori è:
“Or ti spechia Bontur Dati,
che Luchesi ai consilliati
lo die de San Fidriano
a le porte di Lucha fu ’l Pisano”.
I lucchesi, che conoscevano la frase pronunciata da Bonturo Dati a San Giuliano, si radunarono inferociti davanti alla sua abitazione, ma Bonturo era fuggito a San Romano. Lucca fu invasa e saccheggiata dalle truppe guidate da Uguccione della Faggiola con l'appoggio di Castruccio Castracani.
Il Roncioni racconta anche un altro episodio abbastanza strano avvenuto durante l’assalto alle mura e scrive: “[...] Quivi (N.d.R. Nella zona dell’attuale Porta San Pietro) fu trovala la mazza ferrata di Grandonio da Pistoja(5); il quale fu di statura più che umana, e molto coraggioso; e trovossi presente quando i Pisani fecero l'acquisto di Majorica; e diportossi in quella impresa da fortissimo cavaliero, facendo opere segnalate e d'infinito valore. Ma come poi i Lucchesi avessero la sua mazza, a me questo è nascosto; se pure ella non venne nelle lor mani quando, in compagnia dei Fiorentini, diventarono signori di Pistoja, e si divisero il contado e le spoglie di quella città. [...]” Il Tronci precisa “Mandarono i Pisani a donar la detta mazza ai Pistoiesi, la quale tengono nel Palazzo de’ Priori, per memoria di quel lor segnalato cittadino.”
Anche Dante ricorda Bonturo Dati, ma per altri motivi. Il lucchese sconta i suoi peccati nella V Bolgia dell'VIII Cerchio dell'Inferno tra i Barattieri, colpevoli di aver usato le loro cariche pubbliche per arricchirsi attraverso la compravendita di provvedimenti, permessi, privilegi (oggi il reato sarebbe la concussione). Sono descritti nei Canti XXI-XXII, immersi nella pece bollente di cui è piena la Bolgia e da cui sono costretti a restare totalmente coperti; sono sorvegliati dai Malebranche, demoni alati e neri, armati di bastoni uncinati coi quali afferrano e straziano ogni dannato che tenti di emergere dalla pece.
Uguccione aveva fatto demolire i castelli di Asciano, Pontasserchio, Avane, Castiglione e di Molina di Quosa in quanto ogni volta che venivano conquistati erano una forte preoccupazione per Pisa. Il castello di Asciano fu però prontamente ricostruito in pianura in corrispondenza dell'incrocio dell'attuale via delle Sorgenti e via dei Condotti. Uguccione, ormai scatenato, sconfitti i Lucchesi, mosse guerra ai Fiorentini, che avevano occupato Stibbio (frazione di S. Miniato) e molti castelli di Pisa. Nel mese di Febbraio 1314 riconquistò Stibbio, e alcuni luoghi vicini. Tornato vincitore a Pisa, mosse i Pisani contro i Senesi. Ma questa è un’altra storia.
1) Quosa è oggi Molina di Quosa. Nell’XI/XII secolo, riconosciuta l’importanza dell’impiego dei mulini ad acqua fu presa in considerazione la possibilità di costruirne anche a Molina sfruttando l’energia idrica del fiumiciattolo Quosa.
2) Bonturo Dati dopo la pace stretta con Pisa nell'aprile del 1314 e il ritorno degli esuli ghibellini, tra cui Castruccio Castracani già da alcuni mesi doveva trovarsi in una situazione politicamente difficile, lasciò Lucca con tutti i suoi familiari. Stabilì la propria dimora prima a Genova, e poi a Firenze, dove fissò la propria abitazione in casa di Sandro di Barduccio dei Minutoli, nel quartiere di S. Maria Soprarno. Dopo aver dettato le ultime volontà al notaio Tolomeo di Bardetto di Lucca, morì presumibilmente verso la fine del 1324 o agli inizi dell'anno successivo. Le figlie, infatti, assolsero le clausole testamentarie il 3 dicembre 1325 e agli inizi del 1326 fu sepolto nella chiesa domenicana di S. Maria Novella e sulla sua tomba, secondo la tradizione, c'era l'iscrizione: "S(epulcrum) Bunturi Dati de Luca et heredum".
3) Le mura erano quelle medievali, non quelle rinascimentali che vediamo oggi.
4) Tigrino della Sassetta; personaggio probabilmente leggendario o esponente della famiglia Orlandi della Sassetta, ma decisamente famoso perché ricordato dal Carducci nella sua Faida di Comune; al seguito di Uguccione della Faggiola sarebbe stato presente all'assedio di Lucca del 1314.
5) Capitano al servizio dei Pisani, che si distinse nella conquista delle isole Baleari, come raccontano gli storici della città di Pisa, fra cui il Roncioni, il Tronci e il Taioli. Il Roncioni lo chiama Grandonio da Pistoia e Alfonso Brunozzi scrive che era dei Ghisilleri, famiglia che per la fama del figlio, cominciò a chiamarsi dei Grandoni. Si diceva che Grandonio fosse di statura altissima, e di forme gigantesche; e così infatti vedesi dipinto in una sala del palazzo comunale. Presso la finestra di mezzo del ricordato palazzo si vede una testa di marmo nero (forse un re Moro), la quale prima dell’ingrandimento del palazzo nel 1315 stava sulla cantonata. La mazza ferrata sospesa accanto alla testa sarebbe quella usata da Grandonio.
Bibliografia
Raffaello Roncioni (sec. XVI) in Istorie Pisane;
Paolo Tronci (sec. XVII) in Memorie Istoriche della città di Pisa;
Jacopo Arrosti (sec. XVII) in Croniche di Pisa.