9 ottobre 1406: i fiorentini a Pisa
9 ottobre 1406: i fiorentini a Pisa
di Renato Mariani Pisano
(Alcune date citate in questa nota potrebbero risultare errate di un anno perché non tutti gli autori indicano lo stile Pisano o lo stile comune. Questo genera probabili errori.)
Pisa e Firenze, due città rivali fin dal XII secolo per la volontà di entrambe le città di essere egemoni in Toscana. Negli ultimi anni del XIV secolo Pisa attraversava una grave crisi economica e politica; infatti, oltre ai guai procurati da fiorentini, genovesi, lucchesi etc., per molto tempo Pisa fu afflitta dalle lotte tra Raspanti, una fazione che rappresentava gli interessi dei grandi lanaioli e Bergolini, altra fazione cosiddetta da Bergo, soprannome del conte Ranieri di Donoratico. Nel 1392 Pietro Gambacorti era stato pugnalato a morte dal cugino, Jacopo d'Appiano, e nel 1399 il signore di Pisa Gherardo Leonardo Appiano, figlio di Jacopo, per 200.000 fiorini cedette il dominio sulla città a Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano riservandosi, però, la signoria di Piombino e delle isole dell’arcipelago Toscano. A quel punto la situazione di Firenze si fece critica, ma l’improvvisa morte di Gian Galeazzo ai primi di settembre del 1402 e il subentro di Gabriele Maria Visconti, suo figlio illegittimo, crearono i presupposti per la risoluzione della questione Pisana con l’affermazione del dominio fiorentino. Il 20 luglio 1405 i Pisani, presentendo la cessione a Firenze della loro città, si ribellarono. Occuparono il palazzo degli Anziani, le fortezze delle porte di San Marco, delle Piagge, del Parlascio e del Leone ed il forte fatto dal Visconti sopra il ponte Vecchio; il giorno seguente si impadronirono della fortezza di Stampace e di quella della porta Legazia a mare.
Dopo un primo fallito tentativo di coinvolgere papa Bonifacio IX, Firenze, grazie a un ingente esborso di denaro, ottenne il consenso all’assedio dalla corona francese e anche da Genova dove alla fine di luglio era fuggito Gabriele Maria Visconti, con poca fortuna perché fu decapitato da Buccicalo, capitano del re e governatore della città. Iniziò così una serie di attacchi contro Pisa.
Il 31 agosto del 1405 i fiorentini riuscirono ad impossessarsi della Cittadella pisana, ma sei giorni dopo furono costretti a rinunciare; decisero allora di inviare truppe contro Pisa per assediarla. L’esercito fiorentino si accampò a S. Piero a Grado. Nell’ottobre 1405 i Bergolini cacciarono i Raspanti e così entrò in signoria Giovanni Gambacorti. Bertoldo Orsini, Conte di Pitigliano e di Sovana, al servizio dei fiorentini fu informato che una porta murata della città era poco sorvegliata e avrebbe potuto essere facilmente sfondata. Si mosse allora da San Miniato, possesso fiorentino dal 1370, con i commissari Filippo Magalotti, Rinaldo Gianfigliazzi e Maso degli Albizzi e si diresse verso Pisa. L’impresa però non ebbe successo perché, nel frattempo, i Pisani avevano provveduto a rafforzare la porta. Bertoldo, per lasciare un segno del suo passaggio, prima di rientrare a San Miniato predò il territorio circostante.
L’8 di giugno 1406 ci fu un primo vero attacco alle porte S. Gilio e Stampace, ma fallì e i fiorentini che erano saliti sulle mura furono impiccati ai merli delle stesse. Le truppe fiorentine erano distribuite anche su altri due campi (uno nei pressi di Riglione e uno in Cisanello) divisi dall’Arno ma congiunti addirittura con un ponte di barche provvisorio a Colignola per facilitare i soccorsi tra i due accampamenti. Per conquista o per tradimento tutte le possibilità di rifornimento furono precluse e i Pisani vissero gravissime difficoltà. Pane e carne furono razionati. Tre grosse navi cariche di frumento della Sicilia a causa del maltempo, costrette a rifugiarsi in Porto Pisano, furono catturate e non fu possibile rifornire Pisa. Per prima cosa i fiorentini costruirono uno sbarramento riducendo al minimo il passaggio sul fiume. Il 16 di luglio conquistarono Vicopisano, ultimo ostacolo prima di Pisa, il cui assedio fu incrementato con le truppe reduci da quel paese. Il primo di settembre caddero anche il castello di Ripoli, Cascina e San Casciano.
Giovanni Gambacorti, nuovo signore della città, dette inizio a trattative per la capitolazione. Scrive il Tronci: “Quando si vide il Gambacorti in così stretto modo serrato, e che gli era vietato ogni soccorso, ed in particolare di vettovaglie, deliberò di mandar fuori di Città tutte le bocche inutili, il che cominciatosi ad eseguire non poté effettuarsi il suo disegno, perché furon così crudeli i Fiorentini contro i mandati fuori, uomini e donne, che fossero, che fecero gli uni e gli altri prigioni, quelli senz' alcuna pietà impiccando, ed a queste tagliando i panni in giro fino sopra il ventre, e bollandole in una gota col segno del Giglio, in modo che ciascuno voleva piuttosto morire, che uscire della Città. Colorirono i Comandanti Fiorentini questa barbara inumanità con dire, che i Pisani stessi n'erano stati causa, perché avevano fatto strascicare a coda d'asino per tutta la Città Papi da Calcinaia loro bravo soldato, ch'era stato il primo nell' assalto sopra accennato a salire sopra le mura, ed azzuffatosi con un Pisano si erano così strettamente abbracciati, che non cedendo l'uno all'altro di forza, alla fine caduti a terra congiunti morirono.” Lorenzo Pignotti nella Storia della Toscana (tomo VI) scrive: “A. di C. 1406... Cresceva la fame in Pisa ogni giorno; e mancando ogni speranza di aver vettovaglie, previdero i cittadini che dirigevano il governo la necessità di capitolare. Il Gambacorti (Giovanni) ne incominciò segretamente il trattato con Gino Capponi. Le condizioni più vantaggiose furono pei Gambacorti, ai quali fu riservato il dominio di molte terre, e castella del territorio pisano, dell'isole del Giglio, e di Capraja insieme con una somma di 50 mila fiorini di oro; al Vescovo Gambacorti la promessa del Vescovado di Firenze; Pisa dovesse esser suddita di Firenze; Giovanni dasse l'ingresso della città ai Fiorentini, e i segni di tutte le rocche che avea in mano: il trattato si fece occultamente per evitare i tumulti della città. Il Capponi andò a far ratificare le condizioni a Firenze, e furono unanimemente accettate. Si dettero gli ostaggi da ambe le parti ... e Gino Capponi, uno dei Dieci della guerra, che ebbe la prima parte nell'acquisto di Pisa ne prese il possesso. ... Allo spuntar del giorno 9 ottobre vi entrò la truppa fiorentina ricevuta alla Porta da Giovanni Gambacorti, il quale teneva in mano un verrettone (N.d.r. dardo da balestra), e poselo in mano del Capponi, dicendo che gliel dava in segno della signoria della città.”
Il Commissario fiorentino, Pier Capponi, prese possesso della città, dove, entrate da porta San Marco, iniziarono a sfilare le truppe. Non vi furono violenze; anzi i fiorentini distribuirono molto cibo ai Pisani affamati. All’annuncio dell’ingresso delle truppe in Pisa, la mattina di sabato 9 ottobre 1406, secondo il racconto di Bartolomeo del Corazza, le strade di Firenze si riempirono letteralmente di gente festante (N.d.r. non certo per una vittoria militare che non ci fu).
Il “bello” però era ancora da venire!
Dopo pochi giorni fu ordinato di consegnare tutte le armi e gruppi di importanti cittadini furono mandati a Firenze in più giorni. Si racconta un aneddoto riferito a questo episodio. Un nobile della famiglia Galletti pelò un gallo e la mattina di buon ora lo appese alla finestra del suo palazzo, con un cartello dove era scritto: Chi non farà come ho fatt’io, sarà pelato come il gallo mio. Subito dopo lasciò la città con tutti i suoi averi. Molti altri seguirono il suo esempio e fuggirono a Lucca, a Siena, a Napoli e in Sicilia. I palazzi ormai vuoti e i possedimenti di questi e di quelli che erano finiti nelle carceri fiorentine furono occupati da nuovi inquilini toscani o fiorentini. Iniziarono subito i cambiamenti urbanistici. Nel novembre a tramontana i fiorentini cominciarono la ristrutturazione della cittadella (detta vecchia dopo il 1440), ma disfecero la chiesa di San Ranieri, costruita nel 1331 ai piedi del Ponte a Mare, la chiesa di Sant’Agnese, che era in testa alla carraia di San Vito (oggi via Volturno) e molti palazzi e case. A mezzogiorno abbatterono alcune case nei pressi della porta a Mare e il campanile del monastero di San Paolo. Nel giugno 1408 fu tagliato a scalpello il campanile di San Zeno e furono distrutti il dormitorio lungo le mura della città e le case del borgo di San Marco. (N.d.r. notizie prelevate da Croniche di Pisa di J. Arrosti).
Solo il Porto Pisano conservava una qualche funzionalità. Infatti nel luglio 1409 Luigi II d'Angiò-Valois prima di intervenire per riprendersi il regno di Napoli e affrontare le truppe di Ladislao d'Angiò-Durazzo (re di Napoli dal 1386, anno dell'assassinio del padre, al 1414, anno della sua stessa morte), giunse a Pisa via mare con sette galere armate. Il 23 marzo 1409 era iniziato il Concilio di Pisa, dove il 26 giugno fu eletto Alessandro V (Pétros Philargés; Pietro di Candia), proposto come figura di compromesso in quanto si trattava di un francescano che ha insegnato a Parigi ed è stato arcivescovo di Milano. Luigi II d’Angiò accetta il nuovo pontefice e così fanno Venezia e Firenze, mentre Ladislao, che in quel momento occupava Roma, ne contestò la legittimità. Re Luigi, con le sue insegne e quelle del papa eletto, entrò in Pisa con la sua corte per la porta Legatia e alloggiò nella casa di Bartolomeo da Scorno in via Santa Maria. Successivamente Luigi partecipò alla messa celebrata dal cardinale Orsini in Duomo dove fu riconfermato e incoronato re di Napoli e di Gerusalemme dal papa neoeletto.
Comunque in seguito la vita dei Pisani continuò a peggiorare. Angelo Fabroni nei suoi scritti pubblicò questa lettera inviata il 14 di gennaio del 1431 dai Dieci di Balia ad Averardo de' Medici, commissario in Pisa per la repubblica: “Qua si tiene per tutti, chel principale e più vivo modo che dare si possa alla sicurtà di cotesta città, sia di votarla di cittadini e contadini Pisani; et noi n'abbiamo tante voile scripto costà al Capitano del Popolo, che ne siamo stracchi. Rispondeci ora in ultimo, essere impedito dalla gente dell'arme, et non avere il favore del Capitano. Vogliam che tu sia con lui, e intenda bene ogni cosa; et diate modo, con usare ogni crudeltà et ogni asprezza, chi conosciamo che ogni altra medicina varrebbe poco. Abbiamne fede in te e confortiamti a darvi esecuzione prestissima, che cosa più grata a tatto questo popolo non si a potrebbe fare.” L’evento citato è confermato da R. Roncioni e da R. Grassi.
I Pisani, per respirare di nuovo aria di libertà, dovranno aspettare l’arrivo di Carlo VIII a Pisa nel novembre del 1494.
Bibliografia
L’argomento di questa nota è trattato in molte opere scritte sulla storia di Pisa. L’elenco che segue è pertanto carente di alcuni titoli, perché sono citati solo i testi da cui sono state ricavate le notizie.
Angelo Fabroni Memorie Istoriche di più Uomini Illustri Pisani, Pisa, 1790;
Emanuele Repetti Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana Vol. IV, Firenze,1833;
Firenze e Pisa dopo il 1406 Atti del convegno, Firenze 27 28 settembre 2008 a cura di Sergio Tognetti, 2010;
Francesco Guicciardini Storia d’Italia Tomi I, II e III, 1822;
Jacopo Arrosti Croniche di Pisa, 1654;
Lorenzo Pignotti Storia della Toscana Tomo VI, Firenze, 1824;
Paolo Tronci Annali di Pisa, Pisa, 1828;
Raffaello Roncioni Istorie Pisane, Firenze, 1844;
Ranieri Grassi Pisano Descrizione Storica e Artistica di Pisa e de' Suoi Contorni, Pisa, 1836;
Simonde de Sismondi Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo Tomo XII, 1817.