La Liberazione di Pisa
La Liberazione di Pisa
di Renato Mariani Pisano
Nel 1944 con le graduale retrocessione del fronte verso nord causata dalla distruzione delle linee difensive tedesche, i bombardamenti sull’Italia centrale aumentarono a dismisura. Pisa si trovava sulla cosiddetta linea dell’Arno, dove i tedeschi bloccarono l’avanzata degli Alleati fino ai primi giorni di settembre. Il XIV Panzerkorps (Corpo corazzato), al comando del generale Frido von Senger und Etterlin, era schierato da Empoli fino al mare, con la 26a divisione corazzata, la 65a di fanteria; la 16a SS Panzergrenadier Division “Reichsführer-SS”, invece, era schierata a difesa della Linea dell’Arno (Arno-Stellung) nel settore di Pisa-San Piero Grado-Marina Di Pisa.
La 5a Armata del generale Mark W. Clark fu impegnata nel settore dal mar Tirreno fin oltre Firenze (in quello adriatico operava l’8a Armata britannica). Era composta dal XIII Corpo britannico, comandato dal generale Kirkman e il II ed il IV Corpo: il primo, al comando del generale Keyes, comprendeva tre divisioni di fanteria americane (la 34a, l’88a e la 91°); il secondo, guidato dal generale Crittenberger, comprendeva la 1a divisione corazzata americana, l’85a di fanteria e la Task Force 45, grande quanto una divisione. A queste unità si aggiungeranno, a settembre, la 6a corazzata sudafricana ed il contingente brasiliano della FEB (Força Expedicionaria Brasileira), a ottobre la 92a divisione Buffalo americana e a gennaio la nuova 10a divisione da Montagna statunitense, che rileverà la Task Force 45. Nell’ambito delle operazioni militari alleate contro la Linea Gotica dal Giugno al Settembre 1944 Pisa fu tagliata in due parti dalla linea del fronte.
Tradotto (N.d.a. alla meglio) da “Storia della 5a Armata americana in Italia”: “... Il 1° settembre, prima di mezzogiorno, il Gen. Crittenberger ordinò al Brig. Gen. Paul W. Rutledge, comandante della Task Force, di attraversare con il 100° battaglione di fanteria il fiume (Arno) a est di Pisa. Mantenendo il passo con il 3° battaglione del 370° fanteria, e avanzando attorno al lato sud-ovest del monte Pisano, il 100° battaglione di fanteria inviò pattuglie lungo la riva sud del fiume Serchio fino al 2 settembre. Il resto della Task Force 45 occupò tutto il terreno a sud dell’Arno il 1° settembre; la mattina successiva il 435° Battaglione Artillery Antiaircraft (antiaereo), attraversò il fiume appena ad est di Pisa con barche militari, mentre i carri armati e le cisterne attraversarono più a monte e poi si diressero verso ovest per l’occupazione della parte settentrionale della città. A seguito dell’avanzata, il 434° Battaglione Artillery Antiaircraft assunse il controllo di Pisa, mentre il 435° si spinse a nord verso il Serchio e il Reggimento britannico 39° Light Antiaircraft attraversò l’Arno ad ovest di Pisa per liberare la zona boscosa in prossimità della costa. Come in altre porzioni del lungo fronte del IV Corpo, i grandi campi di mine lungo l’Arno furono il principale fattore di ritardo. Alla fine del 2 settembre la maggior parte dei militari e dei mezzi del IV Corpo si trovava oltre l’Arno e le sue unità combattenti avevano spinto il fronte da 2 a 7 miglia a nord del fiume. Il nemico non aveva tentato di opporsi all’attraversamento del fiume; perché le truppe avevano eliminato ostacoli stradali e costruito passerelle sui canali e nei fossi della pianura o passaggi sulle pendici del Monte Pisano, non c’era ancora alcuna prova che il nemico fosse pronto ad offrire un’opposizione locale di retroguardia. La Divisione e i corpi di artiglieria a sud del fiume avevano individuato pochi obiettivi; in alcune zone le truppe erano avanzate senza il supporto dell’artiglieria prima che fossero costruiti i ponti che permettessero all’artiglieria di avanzare. ...”
Quindi i primi militari statunitensi che entrarono a Pisa appartenevano quasi sicuramente al IV Corpo d’Armata del generale Willis D. Crittenberger, dove erano presenti oltre a soldati statunitensi anche truppe brasiliane (un capitano della FEB, Attilio, ha coccolato più volte lo scrivente) e sudafricane. Il comando alleato si insediò nei locali della Scuola Normale in piazza dei Cavalieri.
Credo che la miglior descrizione della Liberazione di Pisa sia quella pubblicata sul Portale di Storia contemporanea il 2 settembre 2014 da Stefano Gallo pisano, Dottore di Ricerca in Storia conseguito presso il Dipartimento di Storia dell’Università degli Studi di Pisa. Segue il testo con alcune note dello scrivente:
“- «S’accompagnarono l’ameriani noi fino a Ripafratta, poi a Ripafratta si girò e si andò diretti a Pisa, a Pisa si andò a Piazza del Duomo e ameriani non c’era nessuno, i primi [...] s’arrivò prima noi e poi arrivarono l’ameriani. [...] A Pisa non erano ancora entrati». Questa è la testimonianza di Duilio Cordoni, allora diciassettenne partigiano della formazione “Nevilio Casarosa”, su ciò che successe il giorno della liberazione di Pisa, il (N.d.r. Sabato) 2 settembre 1944. Il brano è tratto da un colloquio che ho avuto la scorsa estate presso la sua abitazione, per la preparazione di un libro sulla guerra a San Giuliano Terme.
A distanza di tanti anni da quel periodo, il racconto di Cordoni ripropone un preciso intento polemico, che nel corso dell’intervista è emerso in maniera esplicita: smentire una versione dei fatti (N.d.r. Alle ore 9 quattro militari americani seguiti dai partigiani della Nevilio Casarosa fanno il loro ingresso in Piazza del Duomo e alle ore 14 reparti motorizzati americani entrano in città da porta Fiorentina.), che vuole che furono invece gli Alleati ad arrivare per primi sotto la torre, seguiti solo in un secondo momento dalle forze organizzate della Resistenza. Dietro alla contesa sul primato dell’arrivo in città, questione che in sé rivestirebbe un interesse marginale, c’è in gioco la discussione sul ruolo che i partigiani e il CLN locale ebbero in occasione della liberazione di Pisa. Al momento dell’arrivo degli Alleati quali erano a livello locale le forze organizzate che potevano credibilmente rivendicare il ruolo di interlocutori privilegiati per la costruzione di una Pisa non più fascista? Il problema è certamente complesso e per affrontarlo correttamente sarebbe necessaria una riflessione ben più articolata. Proviamo però a fornire rapidamente una fotografia della condizione in cui si trovavano le strutture della Resistenza nella fase finale dello stallo del fronte sul fiume Arno, nella seconda metà dell’agosto 1944, settanta anni fa.
La “Nevilio Casarosa” si era disarticolata dopo l’attacco a sorpresa dei tedeschi al campo base, all’alba del 10 agosto 1944: i suoi componenti si erano dispersi in vari gruppi, senza più un’organizzazione paragonabile a quella avuta in precedenza. L’obiettivo immediato dei partigiani divenne la mera sopravvivenza, in primo luogo evitare di cadere nuovamente nei rastrellamenti tedeschi, come quello condotto il 24 agosto 1944 dalla 16ª Divisione SS sul monte Faeta: a partire dal versante lucchese, con l’aiuto di alcuni italiani della Brigata Nera “Mussolini” forniti di mascherine per coprire il volto e giacche mimetiche tedesche, una cinquantina di militari perlustrarono le baracche degli sfollati, fucilarono una decina di sospetti e arrestarono una sessantina di uomini. Proprio in una di quelle baracche, in località San Pantaleone, la moglie del comandante della Casarosa Ilio Cecchini stava dando alla luce una figlia, mentre intorno «si avvertivano spari e raffiche sempre più frequenti e grida»: lo stesso Cecchini «aveva lasciato la formazione partigiana nella notte sperando di poter assistere alla nascita della nostra creatura ma le urla disperate della gente terrorizzata per la cattura dei loro uomini e l’avvicinarsi degli spari lo indussero a lasciarci improvvisamente» (le citazioni sono prese da un dattiloscritto redatto dalla stessa moglie di Cecchini, Anna Maria, conservato presso l’archivio familiare).
Addestramento della formazione “Nevilio Casarosa”. (N.d.r. in una foto di proprietà di Adriana Salani si vede Luigi Salani detto “il Biondo” in primo piano con la pistola, a destra Uliano Martini.) Se sul Monte Pisano dunque la situazione era drammatica, in condizioni non migliori si trovava la città di Pisa, dove poche migliaia di abitanti si erano concentrate nelle case tra il Duomo e Porta a Lucca, intorno all’Ospedale Santa Chiara e all’Arcivescovado, le uniche strutture che riuscirono con enormi sforzi a offrire un minimo di assistenza a una popolazione stremata. Qui faceva quotidianamente la spola con il Comando Tedesco il responsabile dell’amministrazione comunale di Pisa, il cattolico antifascista Mario Gattai, nominato dopo la fuga del prefetto alla fine di giugno dal vice prefetto, di comune accordo con l’arcivescovo Gabriele Vettori. Mentre Gattai cercava disperatamente di organizzare un comitato di alimentazione efficiente e provava a trattare con i nazisti per permettere un minimo di agibilità alla vita in città, i rapporti con l’organizzazione antifascista clandestina guidata dai comunisti non erano semplici. Nelle pagine del suo diario, Gattai scriveva il 16 agosto 1944: «non sono nemmeno in contatto con quelli del Comitato di Liberazione; non già perché io non voglia, ma perché questi illustri anonimi che vivono nelle cantine non hanno sentito la necessità di farsi avanti. [...] Mi sento sempre più solo ad affrontare la situazione». Pochi giorni dopo, il 23 agosto, un giornale clandestino antifascista - probabilmente redatto dai comunisti - lo accusò di essere responsabile delle deportazioni degli uomini avvenute in quei giorni, proprio per i suoi contatti continui con il Comando tedesco. Lo sfogo di Gattai diventava qui virulento: «la redazione del foglio deve stare in una cantina, ove non batte il sole e ove i trogloditi che la abitano ignorano che i tedeschi hanno il potere di prendere uomini e donne e chi vogliono e cosa vogliono, e che se non ci fossi io - con l’aiuto di alcuni sacerdoti e dei pochi miei compagni di lavoro - ad attutire con molta politica e molta fatica le loro prepotenze e a pensare ai bisogni della popolazione, questa avrebbe dovuto soffrire ben più di quanto ha sofferto finora. Fuori dalle cantine, prendetevi il vostro lavoro e la vostra responsabilità e poi parlate! ». Credo che si possa affermare che la fine di agosto segnò da molti punti di vista il momento più difficile nella vita della città di Pisa, non ultimo per la confusione politica in un contesto in cui i margini di azione non andavano oltre il tentativo di sopravvivere. Chi ebbe le idee più chiare a proposito furono i responsabili regionali del partito comunista in clandestinità. Il gappista fiorentino Alvo Fontani riferì ai militanti pisani le direttive impartite dal centro regionale in vista dell’arrivo degli Alleati: «fare il possibile per affermare comunque una presenza della resistenza alla liberazione di Pisa, facendo di tutto per evitare uno scontro con le truppe di copertura della ritirata tedesca». In città però non erano presenti gruppi capaci di svolgere questo compito; era necessario quindi rivolgersi ai partigiani che stavano sul Monte Pisano e «chiedere che almeno cinquanta o sessanta [...] si preparino e siano pronti al momento opportuno a marciare su Pisa». Fontani si trasferì sui monti insieme a Ruggero Parenti, responsabile della federazione comunista di Pisa, «sotto una tenda, in una posizione che ci permette, per quanto possibile, di controllare almeno parzialmente la situazione» (le citazioni sono tratte dalle memorie di Fontani). I giorni seguenti furono impiegati per organizzarsi in vista del momento della liberazione.
La mattina del 2 settembre, una volta iniziato l’attraversamento dell’Arno all’altezza di Cascina da parte delle truppe angloamericane, i partigiani inquadrati da Fontani e Parenti scesero dal Monte: alcuni, tra cui Duilio Cordoni, guidarono i soldati alleati in un territorio ormai abbandonato dai tedeschi verso Ripafratta, altri proseguirono su Pisa, dove attesero con pazienza l’allontanamento delle ultime squadre di occupanti. Quando poi arrivò il grosso delle truppe alleate, nel pomeriggio del 2, la Prefettura, la Questura e il Palazzo del Comune erano già nelle mani del CLN di Pisa e dei partigiani. Molti di loro in seguito si arruolarono nelle truppe di liberazione, all’interno del Corpo di Volontari della Libertà, e continuarono la guerra verso Nord. Solo allora si poterono ricomporre le forze di chi aveva scelto il compito della organizzazione clandestina armata e chi invece si era votato alla missione di assistere la popolazione, che poco avevano comunicato nei giorni precedenti. Questo dualismo fu riconosciuto e formalizzato nella prima Giunta comunale nominata dagli Alleati, che ebbe come sindaco Italo Bargagna, comunista partigiano, e come vicesindaco proprio Mario Gattai.”
Altre notizie:
1) Nei quaderni della Provincia leggiamo: “Mario Gattai (immediatamente confermato Commissario Prefettizio dalle autorità dell’A.M.G., l’Amministrazione Militare Alleata) e, successivamente, Italo Bargagna, che di lì a poco sarà nominato Sindaco, assieme al nuovo Prefetto Vincenzo Peruzzo, la cui opera di mediazione tra l’A.M.G. e gli amministratori locali sarà preziosa, si mettono al lavoro. Nel Febbraio 1945 fango e macerie sono sgomberati, viene riaperto l’Ufficio Tessere Annonarie ed è ricostituita la Commissione Provinciale per l’Alimentazione, nel tentativo di arginare il crescente diffondersi della borsa nera, sono riattivati vecchi pozzi e l’acquedotto di Asciano. Il Sindaco Bargagna ottiene dalle autorità Alleate la disinfezione di acque e ambienti, si procede alla requisizione di alloggi di ex aderenti alla R.S.I., sono costruiti villaggi di baracche e sono riadattatati ad uso dei senza tetto gli edifici della caserma Cittadella del 7° Reggimento Artiglieria, vengono organizzati servizi diurni di traghetto allo scalo Roncioni, al Tondo ed alle Bocchette. Successivamente alla costruzione di un ponte di legno sull’Aurelia sui ruderi del Ponte dell’Impero da parte dei genieri americani, il 10 Febbraio 1945 viene aperta al traffico pedonale la passerella in legno costruita sui ruderi del Ponte di Mezzo, il 10 Giugno quella sul Ponte alla Fortezza ed il 26 Novembre viene inaugurato il nuovo Ponte Solforino. Le linee tranviarie, seppur ridotte rispetto all’anteguerra e attestate all’imbocco dei ponti distrutti, sono nuovamente funzionanti nell’estate 1945, così come l’illuminazione pubblica; per la completa riattivazione dell’impianto del gas Pisa dovrà invece attendere il 1947.”
2) Il 2 settembre 1944 le truppe alleate liberarono anche San Giuliano Terme, Buti, Pontedera, Calcinaia, Bientina e Vicopisano; nella settimana successiva Cascina, Vecchiano e Santa Maria a Monte. Gli altri Comuni della nostra Provincia erano stati liberati in precedenza.
3) Livorno era stata liberata il 19 luglio 1944; Firenze l’11 agosto, Lucca il 5 settembre, Massa il 10 aprile 1945 e Carrara l’11 aprile.