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Curtatone e Montanara





29 MAGGIO 1848 - Le battaglie di Curtatone e di Montanara
di Renato Mariani Pisano


        L'epilogo della seconda Repubblica Pisana, nata nel 1494, fu nell'anno 1509 quando i Pisani, dopo aver subito un lungo assedio, firmarono la resa ai fiorentini. Da questa data la storia di Pisa si confuse con quella di Firenze e fu l'ultimo episodio in cui i Pisani furono visti combattere. Ricominciarono dopo più di tre secoli. All'indomani della conclusione del Congresso di Vienna il 9 giugno 1815 tra le potenze vincitrici di Napoleone (Austria, Russia, Prussia e Gran Bretagna), quella che noi oggi chiamiamo Italia era una penisola divisa in una decina di Stati, poi ridottisi a sette nell'arco di pochi anni per effetto di successive annessioni: il Regno di Sardegna, il Regno Lombardo-Veneto, il Granducato di Toscana, il Ducato di Modena, il Ducato di Parma, lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie. La maggior parte di questi erano sotto il controllo politico dell'Impero Asburgico. Negli anni precedenti il 1848 i cittadini favorevoli agli ideali dei Rivoluzionari francesi e i seguaci delle idee Mazziniane, avevano organizzato moti e manifestazioni in gran parte d'Europa. A Pisa il fermento ideologico e politico si era da tempo manifestato: nel 1846 le acclamazioni all'appena eletto Pontefice Pio IX per l'editto di amnistia promulgato il 16 luglio e per la sottoscrizione a favore dei prigionieri politici amnistiati furono frequenti. Nel maggio 1847 all'approvazione granducale della legge sulla stampa, simile a quella concessa da Pio IX seguì la nascita di nuovi giornali. Nelle sale dell'Ussero scolari e professori commentavano gli articoli del giornale pisano “L'Italia”, fondato da G. Giorgini, S. Centofanti, G. Montanelli e G. Fabrizi, del “Corriere Livornese” di Francesco Domenico Guerrazzi e del “L'Italia del popolo”, fondato a Milano da Giuseppe Mazzini, per propagandare le proprie idee durante il Risorgimento. Nel settembre1847, per ordine del Granduca, la Consulta di Stato si riunì e deliberò l'istituzione della da tempo richiesta Guardia civica. L'anno dei moti e delle rivolte per ottenere un'Italia unita dalle Alpi alla Sicilia, fu però il 1848.

        Il 21 marzo, mentre continuavano i combattimenti a Milano e in altre città del Lombardo Veneto, Johann Josef Wenzel Anton Franz Karl Graf Radetzky von Radetz, comandante dell'esercito austriaco nel Lombardo-Veneto, ordinò in segreto la ritirata delle truppe austriache dalla Lombardia verso il Quadrilatero. Peschiera e Mantova sulle sponde del Mincio, Verona e Legnago sulle sponde dell'Adige erano circondate da una serie di forti, ancor oggi esistenti, e da opere di difesa. Molti dei circa ventiduemila abitanti di Pisa, pur non sapendo ancora quale fosse la reale situazione in Lombardia, ma prevedendo una dura reazione austriaca, già fremevano per armarsi e correre in aiuto dei ribelli lombardi. Cittadini, scolari e professori si precipitarono ad arruolarsi. In poco tempo si formarono i Battaglioni Civici e il Battaglione Universitario. Il 22 marzo, un giorno prima della dichiarazione albertina di guerra all'Austria nel cortile della Sapienza di Pisa al comando del capitano Enrico Molinari di Pisa si costituirono i ranghi del Battaglione degli Universitari (389, di cui circa 150 pisani, su 621 iscritti) e della Guardia Civica per un totale di circa settecento uomini. Uscirono dal portone laterale di Sapienza, sfilarono sul Lungarno di fronte al Caffè dell'Ussero e, superato l'albergo delle Tre Donzelle, deviarono verso i Borghi. Giunti alla stazione ferroviaria di Porta a Lucca (provvisoria dal 1846 nella zona antistante la porta; l'altra stazione pisana era la Leopolda), salirono sul treno per raggiungere quella città, raccogliere altri volontari, e dirigersi verso i territori delle popolazioni insorte. Valicato l'Appennino, spesso accompagnati dalle note della canzone “L'addio del volontario toscano” (Addio mia bella addio), proseguirono verso i campi di Lombardia.

        Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto rivolse alle popolazioni del Lombardo Veneto in rivolta contro gli austriaci il proclama (pubblicato a Torino il giorno seguente) che annunciava la Prima Guerra d'Indipendenza e che terminava con queste parole: “Per viemmeglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell'unione italiana vogliamo che le nostre truppe portino lo Scudo di Savoia sovrapposto alla bandiera Tricolore italiana”. Durante la lunga marcia di avvicinamento alla Lombardia del Battaglione Univbersitario, le donne di Reggio Emilia il 23 aprile offrirono un vessillo Tricolore con nappa d'oro e con sciarpa su cui era stato da loro ricamato a caratteri d'oro “La civica reggiana alla Guardia universitaria”. Il tricolore del Battaglione non fu mai sventolato nella battaglia perché a Curtatone l'alfiere fu ferito a una mano e preferì usare l'altra per sparare con il suo moschetto. La bandiera, accolta e messa in salvo dal caporale Agostino Barsotti, oggi è conservata nei locali del Rettorato dell'Università di Pisa.
Altri due tricolori, invece, parteciparono alle battaglie di Curtatone e di Montanara: quello con al centro una croce bordata di rosso e le scritte "Pisa" e "1848", che apparteneva al ventunenne universitario Eugenio Anzilotti, di Pescia (PT); quello che Andrea Sgarallino di Livorno recuperò al nemico nella battaglia del 29 maggio e che sventolò anche nella spedizione dei Mille (maggio 1860). Esiste un terzo tricolore, che apparteneva a Francesco Tito Vaccà Berlinghieri, giovane chirurgo Pisano figlio di Andrea, con le scritte "Viva L II" (Viva Leopoldo II) con in mezzo il giglio e nella parte sottostante la data del 17 febbraio 1848, della cui presenza a Curtatone e Montanara non abbiamo certezze.

        Il 19 maggio gli scolari si accamparono a Grazie, località a pochi chilometri da Curtatone, che divenne la nuova sede del quartier generale Toscano, cui facevano capo anche i militi volontari di Pisa condotti da Cesare Studiati, le truppe del Granducato, gli altri volontari toscani e circa 1500 tra regolari e volontari napoletani (all'epoca con questo termine s'indicavano i soldati e i volontari abruzzesi, campani, calabresi, siciliani e di altre regioni meridionali). Per le defezioni susseguitesi nel Battaglione universitario durante la marcia erano presenti a Grazie circa 300 effettivi tra docenti, studenti e volontari aggregati, agli ordini del professor Ottaviano Mossotti. Il 26, in sostituzione dell'esonerato generale Ulisse D'Arco Ferrari, il comando supremo delle truppe toscane, circa 6900 uomini, fu affidato all'elbano Cesare De Laugier. In sintesi la linea difensiva partiva da Grazie, proseguiva fino alla Casa del Lago alla cui spalle era il Molino, attraversava Curtatone, continuava fino a Montanara e quindi si esauriva sulla via che arrivava da San Silvestro nei pressi della Casa degli Spagnoli, vicina al Cimitero. La sera del 27 maggio, il maresciallo Radetzky, orgoglioso di avere nelle sue truppe anche il futuro Imperatore Francesco Giuseppe, le divise in tre grossi raggruppamenti con una consistente quantità di artiglieria e ordinò la partenza a intervalli da Verona, una delle fortezze del quadrilatero; il giorno dopo si accamparono a San Giorgio di Mantova. All'alba di lunedì 29 maggio il maggiore Fontana, acquartierato a Govèrnolo, avvisò subito De Laugier di un probabile imminente attacco. Infatti Radetzky aveva pensato di piombare sui Tosco-napoletani iniziando l'attacco a Curtatone, per poi proseguire fino a Montanara e completare la loro disfatta, prima che potessero ricevere soccorsi. Nelle due località i combattimenti e gli episodi di eroismo si susseguirono per tutta la giornata. Gli universitari del Battaglione, ai quali si erano aggregati alcuni giovani ellenici e corsi, avrebbero dovuto rimanere in attesa di ordini. Al grido “Avanti! Avanti! Anche noi al fuoco!” erano invece accorsi sul campo al momento in cui più ferveva la pugna. Nel superare il ponte (sull'Osone), dove si concentrava il fuoco nemico, caddero alcuni scolari e il professor Leopoldo Pilla. Un colpo di mitraglia gli aveva aperto il ventre e rotto un braccio, ma continuò a gridare “Viva l'Italia” fino alla morte. Dopo sei ore di scontri a Curtatone, alla Casa sul Lago e al vecchio Molino, nell'abitato di Montanara in particolare al palazzo Zanetti Cavalcabò, alla Rocca, alla Corte Spagnola e alla Cascine lungo la strada Montanara-La Santa, poiché i rinforzi promessi in più di un messaggio dal generale piemontese Eusebio Bava non arrivavano, De Laugier dette l'ordine di ritirarsi. Il giorno 30 maggio i milleseicento uomini della guarnigione austriaca di Peschiera assediata dai Piemontesi si arresero. Radetzky, avuta ragione dei Tosco-napoletani a Curtatone e a Montanara, avrebbe dovuto marciare su Goito, ma l'inaspettata resistenza lo indusse a rimandare all'indomani il proseguimento dell'azione. Questo permise a Carlo Alberto (Re Tentenna) di concentrare su Goito ventiduemila uomini e nello stesso giorno vincere la battaglia contro più o meno altrettanti austriaci. La difesa di Goito fu fondamentale per i sardo-piemontesi, perché un eventuale arretramento avrebbe compromesso il transito sul Mincio, tagliando fuori metà dell'esercito sulla sinistra del fiume e le posizioni conquistate nell'ultimo mese. La battaglia di Goito non fu particolarmente cruenta ma importante dal punto di vista tattico. I Piemontesi uscirono dalla battaglia di Goito con quarantatré morti e oltre duecentocinquanta feriti, mentre l'esercito austriaco contò sessantotto morti, trecentotrenta feriti e duecento dispersi. Alla fine dei combattimenti le truppe di Radetzky si radunarono tra Sacca e Rivalta.

        Il 9 dicembre 1848 fu approvata dal Comune una lapide in ricordo dei morti pisani a Curtatone e Montanara con incisi nove nomi. I Pisani ricordati su questa lapide sono gli scolari Alberto Acconci (laureando in medicina), che morì in carcere a Theresienstadt, Pietro Di Lupo Parra, e i cittadini Alcibiade Bartorelli, che morì in prigionia, Alessandro Ceccherini, Francesco Lotti, Tito Matteoli e Ranieri Poggesi. Fu possibile affiggerla nel Campo Santo solo nel 1851, in un clima decisamente dimesso a causa dell'aperta ostilità del restaurato governo granducale che, proprio a partire da quell'anno, proibirà ogni manifestazione pubblica in ricordo della battaglia e dei caduti. Il 29 maggio 1889, con grave ritardo rispetto all'evento, durante il rettorato del matematico pisano Ulisse Dini, fu collocato un monumento ai caduti di Curtatone e Montanara nel cortile della Sapienza dove era stata la statua di Galilei. L'opera è dello scultore anarchico pisano Giuseppe Di Ciolo, formatosi all'Accademia di Belle Arti di Firenze ed autore anche dei Busti marmorei di Giuseppe Mazzini e Aurelio Saffi, in Piazza D'Azeglio a Viareggio. Significative anche le parole di dedica, che si leggono sul basamento dell'opera: «Ai generosi che nella prima guerra d'indipendenza lasciando l'operosa quiete dei nobili studi, delle officine, dei campi, corsero nuovi alle armi contro gli oppressori, nel dì 29 maggio caddero pugnando a Curtatone e Montanara - la Cittadinanza Pisana e la Scolaresca d'Italia il dì 29 Maggio 1889». La bella scultura marmorea che, a parere dello scrivente, rende magistralmente l'idea della sofferenza di uno scolaro ucciso. Nel 1924 quest'opera fu sostituita con il monumento in memoria dei 132 universitari pisani morti nella Grande Guerra, opera dello scultore Luigi Supino, inaugurato il 29 maggio 1924 durante il rettorato di Giovanni D'Achiardi. Fu perciò trasferita nel Famèdio (dal lat. «fama» fama e «aedes» tempio) dedicato ai Caduti per la patria nel Campo Santo urbano di via Pietrasantina. Lo scrittore Marco dei Ferrari ricorda questi nomi tra i molti combattenti pisani che parteciparono alle battaglie: il Capitano Enrico Molinari, il Tenente Attilio Tassi, il sergente Eugenio Du Tremont, il caporale Agostino Barsotti, Francesco Biancini, Luigi Bottari, Giovan Battisa e Raffaello Bussagli, Leopoldo Calderai, Antonio e Giuseppe Cantini, Giuliano Carmignani, Natale Cazzuola, Giovanni Ciarli, Olinto Chiellini, Tommaso Del Beccaro, Ulisse Frediani, Enrico Giunti, Terenzio Martini, Angelo Matteucci, Gennaro Molinari, Augusto Monnosi (tamburino), Antonio Moschini, Giuseppe Papini, Paolo Parenti, Giuseppe Petri, Giuseppe Rigoli, Augusto Scrivere, Ranieri, Cesare e Tommaso Simonelli, Gaetano Tognotti, e i medici Francesco Vaccà e Adolfo Martini. In alcuni elenchi leggiamo anche altri nomi, quelli dei militari pisani, (caduti forse nei precedenti scontri del ponte di Goito, di Castelnuovo del Garda, di Govèrnolo, di Pastrengo, di San Silvestro o di Santa Lucia), che mi sembra giusto citare: il Tenente di Linea Jacopo Ghelardoni, il sergente di fanteria Eugenio Grassolini, nato a Usigliano di Lari morto nell'ospedale di Goito il 5 giugno, Angiolo Formichini, i Volontari Giuseppe Franchini ? e Francesco Guidi ?, il soldato Federigo Venturini-Gagliani (registrato come Pisano deceduto in Lombardia dal Ruolo Militare).

        Il 29 maggio 1848, data evocativa della partecipazione pisana al Risorgimento nazionale, è una ricorrenza italiana e toscana, ma soprattutto pisana. Il Comune di Curtatone, che nel 2011 conferì la cittadinanza onoraria alle Università di Pisa e di Siena, ogni anno si è fatto e si fa carico di ricordare e commemorare degnamente i militari e i volontari che combatterono in quel territorio nel ‘48. Sarebbe sufficiente notare i nomi delle strade del comune di Curtatone dove sono ricordati gli uomini che parteciparono alle storiche battaglie di Curtatone e di Montanara e le città da cui provenivano. A Pisa, dove tutto ebbe origine con larga partecipazione di cittadini, professori e scolari, nelle celebrazioni delle battaglie di Curtatone e di Montanara le Istituzioni comunali sono state abbastanza latitanti, ignorando che la ricorrenza non riguarda solo l'Università, ma specialmente i cittadini pisani. Non per caso vi furono oltre settecento tra morti e feriti e tra loro molti scolari, volontari e militi pisani.

Questa nota si conclude con un opportuno chiarimento: nelle Università Italiane la legittimazione di un berretto come simbolo indicativo del loro status fu fatta a imitazione delle Università tedesche dagli “scholari” che, nel 1888, parteciparono alle celebrazioni alle feste per l'Ottavo Centenario dell'Università di Bologna. Questi berretti all'epoca si chiamavano “orsine”, ed erano un tipo particolare di zucchetto con le tese rivolte in alto. L'orsina bolognese trovò, sin dai suoi esordi, un corrispettivo nel copricapo studentesco dell'Università di Pisa, detto zucchetto o berrettino o cicia (cappellino universitario per il popolo), ma oggi si chiama goliardo. Il berretto a punta, detto feluca e indossato ai giorni nostri nella maggioranza delle Università italiane, pur sempre di foggia medioevale, ha un'origine successiva, anche se di pochi anni, all'orsina e quindi, verosimilmente, non poteva essere in uso nel 1848. Perciò “Il taglio della punta che impediva la mira” è una leggenda affascinante, ma sarebbe più corretto e “più storico” sostenere che a Pisa e a Siena il taglio sia un modo per mostrare l'orgoglio di un evento così glorioso ed eroico e per ricordare il lutto che pervase il mondo universitario pisano e senese dopo le battaglie di Curtatone e di Montanara in cui combatterono e morirono molti Pisani e senesi, ma pochi universitari.


Bibliografia
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